Caratteristica di questo blog è quella di non scrivere cose che non vivo in prima persona o delle quali non saprei scrivere al meglio. Essendo, però, tante le cose di cui vale la pena parlarvi, ho deciso di avvalermi dell’aiuto di alcuni contributors. Saranno attentamente scelti e chiederò il loro aiuto solo se strettamente necessario. Li ringrazio tutti, sin d’ora, per il dono che mi faranno delle loro preziosissime parole.
Ho chiesto a Viola, intensi occhi scuri e dolcissimo sorriso, dotata di grande sensibilità e spiccate doti narrative, di raccontarmi il suo Meet&Greet con Dylan O’Brien (star della serie tv ) al www.giffonifilmfestival.it 2014, il Festival cinematografico per i giovani che ogni anno si svolge a luglio nella mia bellissima Campania (eh sì, sono una fierissima Terrona). L’occasione ideale per incontrare i propri attori (ma anche autori, musicisti, cantanti) preferiti e per concedersi qualche giorno di vacanza in una terra bella ed accogliente. Bando alle ciance, ora chiudo il becco e vi lascio fare le capriole insieme a Viola e alle sue parole. Buona lettura!
Sono stata più o meno mezz’ora a fissare lo schermo del computer indecisa da dove cominciare a raccontare. È difficile farlo con un’esperienza che ancora non riesco a realizzare, è impossibile parlarne a persone che non l’hanno vissuta. Ma penso che il modo migliore per farlo è raccontare dall’inizio. Raccontare da quel 29 maggio, quando hanno annunciato che Dylan O’Brien avrebbe partecipato al Giffoni, quando ho cominciato ad aprire gli occhi e svegliarmi da quel sogno che troppo spesso avevo fatto la notte. Ansia e incredulità sono solo due delle emozioni che mi hanno accompagnato in tutti quei 53 giorni di attesa, che sono stati un inferno ma allo stesso tempo un paradiso e il motivo per continuare a svegliarmi la mattina pensando che tutto quello stress sarebbe stato ripagato. Ma mentre vivevo quell’attesa ero convinta che il tempo non sarebbe mai passato, in realtà è passato troppo velocemente, perché da -53 giorni sono arrivata a -1, con le emozioni amplificate e l’incapacità di fare qualsiasi cosa senza pensare a ciò che sarebbe accaduto a breve. Il viaggio in macchina il 20 è stato ancora più infernale, leggevo dappertutto cartelli “Salerno” ma non raggiungevo mai la meta. Ma poi finalmente raggiungiamo l’hotel. E arrivata lì, non avrei mai pensato che il giorno dopo, a pranzo in quello stesso casale, sarebbe stato ospite Dylan O’Brien, il motivo per cui non ho dormito la notte dall’ansia ma anche il motivo per cui sono arrivata a Salerno con il sorriso sulle labbra. Neanche posso spiegare come mi sono sentita in quel momento, quando ho sentito la frase “domani sarà ospite da me a pranzo” uscire dalla bocca della proprietaria. Mio padre quasi quasi mi doveva tenere perché giuro che in quel momento mi sono sentita svenire. Ed è forse li che ho cominciato a realizzare cosa stavo per vivere, ma senza essere completamente sicura. Il momento migliore è stato la mattina del 21, quando ho sentito la sveglia suonare, e nonostante fossero le cinque del mattino mi sono alzata come se avessi dormito 10 ore quando, in realtà, avevo dormito 2 ore scarse. Arrivata li, c’era già un po’ di gente; ma non sono entrata in panico, io mi conosco e so che se voglio una cosa l’unica cosa a cui penso è quella, senza farmi prendere dalla preoccupazione. Ciò che mi serviva era l’impegno, la determinazione e la fortuna; e, impegnandomi appunto, ho avuto tutti e tre. Dopo esser stata dalle sei alle undici e mezza del mattino schiacciata tra una mandria di gente sudata e puzzolente, finalmente hanno aperto i cancelli e sono riuscita ad entrare con il secondo gruppo. Una delle mie tante particolarità è che sono fragile e sensibile, ed è per questo che nel momento in cui sono entrata in Sala Alberto Sordi ho sentito le ginocchia tremare e le lacrime scendere, e sono arrivata i quarta fila su più o meno cinquanta. Posso continuare a raccontarvi di questa attesa che sembrava non finire, ma invece voglio parlarvi del momento in cui si è sentito un urlo di felicità e di gloria alzarsi tra il pubblico, mentre telefonini e macchine fotografiche lo seguivano, seguivano lui, Dylan O’Brien, mentre entrava e si sedeva sulla sedia, quasi più emozionato di noi. Inutile dire che ho pianto non appena l’ho visto di sfuggita, e per tutto il tempo non ho mai smesso, perché anche se può sembrar stupido lui per me ha fatto tanto, e per chi sa la sua storia può capirmi. Perché un ragazzino come lui, insicuro e timido, proprio come me, che ha iniziato a inseguire il suo sogno aprendo un canale you tube quando neanche si immaginava tutto questo successo, ha tanto da insegnarti. Perciò sono scoppiata, tutta la tensione era svanita. Ma il momento migliore è quello in cui sono riuscita a farmi vedere dalle ragazze con il microfono per fargli una domanda. Mi sono alzata e ho trovato tutti gli occhi su di me, anche i suoi. Ho preso in mano tutto il coraggio che avevo e ho fatto uscire la voce, prima per dirgli quanto lo amavo e poi per chiedergli: “now that you have realized your dream of being an actor, which is your biggest dream?” (Che per chi non so sapesse: “ora che hai realizzato il tuo sogno di essere un attore, qual è il tuo sogno più grande?) L’unico problema è che, per colpa dell’emozione e dei singhiozzi non ha capito ciò che gli ho detto (infatti nella foto (mossa, ovviamente) chiedeva al traduttore di ripetere la domanda), ma ha risposto prima con un “certamente” al mio “thanks for coming”, alzando il centesimo urlo dalla folla, e poi raccontando ciò che sogna: continuare a fare ciò che ama, migliorandosi come attore e soprattutto come persona. Finito il meet and greet, però, non è finito il sogno. So che può sembrare egoista ma sono corsa da mio padre e siamo saliti in macchina correndo verso l’hotel, senza nessuno, ma non perché non volevo, perché non potevo. Non ero neanche sicura che ce l’avrei fatta, mio padre che continuava a ripetermi “puoi farcela come puoi non farcela, io ti do il consenso di chiamarlo”, ma io avevo paura, paura che non si sarebbe fermato, paura che non l’avrei neanche visto. Ho aspettato tre ore, tre ore sentendo la sua voce e la sua risata sotto un ombrello, sotto la pioggia. Quando poi eccolo, lo vedo prima di sfuggita e poi lo vedo bene, mentre cammina verso la macchina. “Viola vai!” Mi sveglio dal sogno, e prendo il mano la situazione spingendomi verso di lui urlando il suo nome. “Can i have a picture? Please just a picture!” “Yes sure of course” E dopo aver scattato due foto, lo guardo negli occhi e lui mi abbraccia, mi stringe mentre gli ripeto “thank you i love you”, dicendomi “i love you too, thank you you’re so sweet”, baciandomi la guancia, e guardandomi come se gli facesse piacere, come se fosse lui che voleva abbracciarmi. Sul momento non ho pianto, perché non volevo, non volevo rovinarmelo e volevo godermelo al meglio, anche se ovviamente, colpa dell’emozione, mi sono affidata ai video di mio padre perché mi ricordo poco niente. E mentre lo vedevo allontanarsi, però, ho cominciato a piangere, lacrime di felicità, di gioia, ma anche di tristezza perché già mi mancava nonostante fosse passato solo un minuto. E come non sapevo come iniziare, ora non so come finire, perché non ci sono parole per descrivere e per raccontare un’esperienza simile e spero di averlo fatto al più presto. Perciò finisco ringraziando tutte le persone che mi sono state accanto e soprattutto ringraziando Dylan, che m ha risposto e che si è fermato per me sotto la pioggia. E ora mi affido ai ricordi di questa giornata magica.